Attenti a criticare la chiesa di dio: molti ci hanno già provato, e hanno mangiato tutti la polvere.
.. Desmond Tutu.
Il presupposto ontologico del cristianesimo è costituito dal senso di compassione, commiserazione, "altruismo", sacrificio e (si crede) auto-sacrificio; tanto perché in questa religione non esiste il senso del Bene in sé, ovvero l'azione spassionata improntata a una morale positiva che dovrebbe portare all'effetto benefico, in quanto tale obiettivo dovrebbe essere conseguito (credevano i suoi teorici) attraverso quelle funzioni facenti capo alla sofferenza, in previsione di un premio ultraterreno. Un comodo circolo vizioso, pare.

Al fine d'attestarsi, il cristianesimo ha fatto leva sin dalle origini appunto sul senso di pietà: i martiri sono stati il cavallo di battaglia di questo senso e continueranno a esserlo senza alcuna sosta nei secoli venturi.
Oggi che la Chiesa sta attraversando un periodo di crisi si rispolverano queste tecniche proponendo nuovi "martiri", dai giustiziati nei läger ai missionari uccisi "semplicemente per essere cristiani" o "per aver portato la parola di cristo"; al contempo, ai tetri imperatori romani si sostituiscono più convenientemente nazisti, fascisti, comunisti, giacobini, garibaldini et varia similia.
Molti resoconti offerti in pasto al pubblico omettono, però, quanto riportato con gran dovizia di dati dai reportage pubblicati nei luoghi in cui si verificano i fatti: e cioè che i cristiani compiono ingerente opera di proselitismo per imporre la loro religione come l'unica e vera, pur dicendo ipocritamente che ogni religione abbia pari dignità; che con le loro teorie sconclusionate offendono il raziocinio e tendono a frammentare il tessuto sociale basato su delle tradizioni millenarie, nel pretesto che si tratti di stili di vita "superati" che necessitano d'aggiornarsi alla "lieta novella"; infine, che — come si ricava ad es. da parecchi casi verificatisi in Cina, Giappone e Sudamerica — questi "santi" siano stati responsabili di vari illeciti, violenze, defraudazione e altri crimini.
Dall'altro lato, però, non godono di gran pubblicità quei casi che, dopo una fugace comparsa nei media italiani, cadono subito nel dimenticatoio: come quelli delle persecuzioni degli hare-krsna in Polonia e certi altri (ben più allucinanti) come quelli del Rwanda e della Croazia ustasha, dove i martiri furono mietuti tra i non-cristiani per mano non già di fanatici laici, bensì di sacerdoti e suore cattolici.

Questo tipo di pretese vantano una sistematica tradizione bimillenaria. I martirologi, documenti inflati e surreali supportati da propagandisti di stato come Eusebio da Cesarea e Lattanzio, ovvero da apologeti stranieri come Tertulliano e Geronimo, ci hanno presentato una schiera abnorme di "santi" che sarebbero morti per "difendere Dio" per mano di biechi attori pagani. Costoro omettono, però, di rimarcare che essi stessi volessero esser fatti fuori dai loro carnefici, come vediamo da alcuni casi in cui la follia passava per coraggio. Ad esempio, Tertulliano ci narra il "martirio" di una folla di scalmanati siriani, presentatisi dinnanzi al prefetto locale per chiedere la morte: "O disgraziati, o poveri infelici! Se desiderate così tanto privarvi della vita, mancano forse i dirupi, da cui potreste gettarvi?", fu la vana risposta del magistrato. Ma il vile pagàno, naturalmente, non poteva certo comprendere la sublimità di una richiesta così eroica! E l'idea che il martirio ("battesimo di sangue", lo chiama lo "storico"!) garantisse un accesso diretto al paradiso era così in voga che, quando il buon Giuliano proclamò l'editto di tolleranza, il suo acerrimo avversario, Gregorio Nazanzieno, per poter aggiungere il paradosso al fango gratuito lamentò che l'imperatore avesse privato i fedeli della "gioia del martirio"!

La giustificazione fornita classicamente a questi eventi è che li si sarebbe giustiziati "semplicemente per essere cristiani": in realtà, dietro le "persecuzioni" v'erano motivi politici, economici e sociali ben più gravi. Infatti, i cristiani erano considerati elementi destabilizzatori della sicurezza, dell'ordine e del welfare dell'impero: ma è chiaro che, essendo seguaci della "religione vera", essi avessero tutto il diritto di destabilizzare un sistema falso...
Ad onor del vero, già diversi esponenti cristiani dubitavano dei dati propagandati, che apparivano costruiti da "ignote mani profane e riempiti di circostanze inutili e sospette", a detta di papa Gelasio; lo stesso fondatore della teologia cristiana, Origene, che pur perse il padre nelle persecuzioni e subì il carcere, asserì che fino al suo tempo (il III secolo inoltrato) i martiri si contavano sulle dita! In effetti, osservando la lista dei "persecutori" alla luce dei dati storici, non possiamo dare torto a certe affermazioni.

Cominciamo da Nerone, al quale si attribuisce l'inizio delle persecuzioni a carico di "cristiani" che allora non erano ancora ben distinguibili dagli ebrei e sin troppo pochi per poter dar adito a una persecuzione "universale" della quale nemmeno Traiano sa alcunché ancora al suo tempo! E non poteva essere altrimenti: la famosa (quanto sospetta) lettera inviatagli da Plinio ci fa vedere come i cristiani fossero ancora degli illustri sconosciuti persino a Roma, dal momento che egli ignorava chi fossero persino in Bitinia!
Non ci rimangono, inoltre, documenti sulla presunta politica anticristiana di Nerone, di là delle farneticazioni di Tertulliano ed epigoni (come ben annotato dal pur cattolico Bourgery, a proposito del fantomatico editto neroniano cui allude soltanto il Cartaginese). D'altronde, Nerone era un imperatore amatissimo dal popolo, come ci indicano persino storici non certo teneri: ad esempio Cassio Dione, cronista comunque ben più imparziale del fiammeggiante Sallustio e sicuramente meno plagiato di Tacito.

Stranamente, su Vespasiano e Tito non abbiamo alcuna nota persecutoria, quasi come se i cristiani non esistessero al loro tempo: eppure, costoro furono non solo i distruttori della "Terra Santa", ma anche i regnanti dell'epoca in cui, secondo l'improbabile cronologia cristianofila, videro la luce i vangeli!

Venendo al fratello di Tito, il "sinistro" Domiziano (altro sovrano poco simpatico al Senato, al pari di Nerone...), costui si limitò ad agire a Roma, scagliandosi soltanto contro gli irriducibili fomentati dai prelati; colmo della beffa, Domiziano morì per mano di un liberto cristiano aizzato dalla cugina cristiana, sebbene sia più facile pensare che si trattasse ancora di giudei paganizzanti...
Ad aggravare i sospetti e le imprecisioni, annotiamo che sotto di lui sarebbe morto il famoso Epafrodito e nientemeno che Giovanni l'evangelista: cosa di cui dubitiamo, dato che, qualora così fosse, allora ne ricaveremmo che Diocleziano avrebbe condiviso quest'onere con qualche altro despota, dato che la data di morte di "Giovanni" non è tuttora certificabile...

Essendo stoici, Traiano e Marc'Aurelio non tolleravano una superstizione disgregante: ciò nonostante, non promulgarono editti di persecuzione, ma anzi cercavano di tenere a bada i pagani che minacciavano i cristiani!
Un secolo dopo di loro, Settimio Severo cercò di limitare la crescente defezione delle classi alte al cristianesimo attaccando soprattutto la "propaganda giudaica", così seguendo la politica dei predecessori: lo stesso Tertulliano ci attesta che avesse arrestato persecuzioni popolari ai danni dei cristiani). Non abbiamo nessun martire a Roma e si dubita sulla "mole spropositata" di "vittime" in Africa, diversamente da quel che vorrebbero ancora il Cartaginese, Clemente ed il solito Eusebio; così pure con Massimino Trace, che anzi pare aver spoliato i templi dei pagani!

Con quel poco di buono di Caracalla (211 d. c.), seguìto da Macrino, Elagabalo e Alessandro Severo (che teneva un busto di Gesù nella sua cappella privata, come ci dice ancora l'Historia e Lampridio), tornò la calma: le vittime riprendono a fioccare con Massimino, ma la storia extra-cristiana non ci attesta alcuna persecuzione...

Quanto a Decio, Valeriano e Diocleziano, essi furono in un certo qual senso dei "persecutori a carattere politico-economico", ma non certo degli stragisti; i loro erano provvedimenti diretti al welfare, in un periodo di crisi e attacchi esterni aggravati dall'azione dei cristiani.
In effetti, il primo promulgò tolleranza a patto di sacrifici a pro della patria e senza pene massime; il secondo proibì con la morte le riunioni nei cimiteri e poi estese le pene (mai applicate, a quanto noto!) direttamente ai vescovi e ai maggiorenti, ma non certo al popolo. Con lui la già blanda repressione aveva colpito prevalentemente le gerarchie vescovili, senza molestare il popolo: eppure, soltanto dodici su oltre ottanta vescovi furono giustiziati! Non stupiamocene: la maggioranza di questi coraggiosi pastori si dava alla fuga e alla corruzione dei funzionari, e la pratica era così comune che proprio Tertulliano la condannerà in un apposito libello! Tra i fuggiaschi ritroviamo figure già familiari, come Clemente, Gregorio Taumaturgo, Dionigi d'Alessandria e persino il buon Eusebio, che con la sua usuale faccia tosta ci narra la vicenda del martirio alludendo soltanto alle lotte interne dei cristiani, alle invidie e ingiurie reciproche, contemplando in certi casi la persecuzione come un castigo di Dio per la loro viltà! Difatti, essendosi riservato nel capitolo precedente della sua opera omnia di "introdurre in questa storia soltanto gli eventi che riteniamo utili a noi e alla posterità", il Cesarita s'occupò della riluttanza dei capi, delle diatribe intestine e della codardia di "infiniti altri, che cedettero al primo schianto", dividendosi fra relapsi e libellatici che compravano attestati di testimonianza falsi per aver salva la vita (v. Historia 8.3.1).

Non stupiamoci nemmeno di questo, dato che in parecchi casi si ricorreva alla menzogna: come nell'esempio di papa Callisto. Costui rifiutò l'appoggio del potente Carpoforo, accorso in suo aiuto giurando il falso per salvarlo: ciò non gli impedì d'essere prima condannato alla macina, per risarcire Carpoforo e la delusa comunità cristiana, e poi d'essere deportato. Marcia, concubina di Commodo e simpatizzante cristiana, ottiene la grazia per tutti i condannati, la cui lista le era stata fornita da Vittore I, pontefice straniero; il bravo Callisto non era stato incluso nell'elenco, ma riuscì comunque a scamparla convincendo i funzionari di un suo presunto rapporto intimo con Marcia! Questa pia donna sarà, infine, l'organizzatrice della congiura che porterà alla morte di Commodo: quanto a Callisto, morirà per una sedizione popolare durante gli alterchi contro papa Ippolito e non per colpa di qualche imperatore, come avrebbe voluto il martirologio romano!

Tra i molti altri falsi degli Acta Martyrum vengono segnalati molti pontefici: su diciassette, la chiesa antica ne indicò undici già solo fino alla persecuzione di Decio, benché nessuno di loro sia stato martirizzato! Per il periodo successivo fino ai tempi di Costantino tutti i papi passarono per martiri, sebbene ve ne siano stati parecchi morti tranquillamente nel loro letto: come Cornelio e Clemente I (graziato in quanto parente dell'imperatore, e poi esiliato da Nerva, che gli storici cattolici hanno in lode...), i quali, dopo una vita del tutto immacolata, furono elevati all'onore di beatitudine.
Non stranamente, il numero dei "testimoni di cristo" iniziò ad aumentare a dismisura quando le persecuzioni ebbero termine, cosicché si posero sullo stesso piano dei martiri pure quegli alti presuli che non morirono per la "causa": con la loro condotta improntata all'ascetismo e alla verginità (da loro stessi scelta...) avevano sofferto comunque un martirio!

Per quel che riguarda la tracimazione di morti della roboante grande persecuzione di Diocleziano e Galerio, quest'ultimo proclamò la liceità del cristianesimo e ordinò addirittura un editto di tolleranza, nella speranza che i cristiani "abbandonata la religione antica, tornino alla ragione" ("bestia più che ursina": così lo apostrofò il "pio" Lattanzio); nel globale, possiamo arginare notevolmente le straripanti pretese di queste "persecuzioni" di quel periodo, dato che la maggior parte dei rei confessi furono banditi o condannati ai lavori forzati nelle miniere, col permesso di poter ricevere corrispondenza e doni in ogni occasione, mentre le donne tutt'al più finirono nei lupanari (una sorta di "taglione"). In totale, in nove anni d'epurazione Diocleziano ne avrebbe mandato a morte circa duemila: meno di un decimo della stima in difetto delle vittime mietute nel corso dei primi dieci secoli di sole lotte teologiche interne al cristianesimo!

Henry Melvill Gwatkin, decano di Storia della Chiesa a Cambridge, nell'Encyclopædia of Religion and Ethics ermeticamente sigillava la questione: "Non è necessaria alcuna critica ulteriore [...] Decio e Diocleziano, nel III e IV secolo, ci andarono moderati con la persecuzione generale, e Valeriano fece la medesima cosa, in termini più miti. Quanto al resto, si trattava semplicemente di agitazioni popolari contro di loro".<%pagebreak()%>La pochezza delle persecuzioni non impedì agli agiografi di costruirsi i loro eroi. Le modalità di supplizio con cui gli esegeti presentavano queste "vittime" superano le più selvagge allucinazioni del miglior Bosch: in verità, la facilità con cui riuscivano nell'intento non deve meravigliare, dacché le morbose descrizioni di queste torture ricalcano le tecniche con le quali, nei secoli successivi, i cristiani tormenteranno chiunque avesse rifiutato la "lieta novella"...
La macabra fantasia non aveva limiti: certuni sono fatti passare sotto il giudizio di una decina di inquisitori, che, tolti i personaggi completamente ignoti alla storia, si avvicendarono nell'arco di un decennio, talché lo stesso "martire" subiva per anni lo spellamento, l'abbruciamento, il piombo fuso, l'accecamento, la mutilazione, l'impalamento, l'estirpazione delle unghie, della lingua, dei denti o quant'altro... Spesso accadeva che il misero morisse e resuscitasse per intervento divino, semplicemente per riprendere daccapo il supplizio nei modi più svariati ed ingegnosi, finché la lama del boia metteva fine ai tormenti. Certi altri, addirittura, erano trovati ancora vivi nelle pance delle belve che li avevano divorati, a voler prestar credito alle fantasie di Eusebio!

Che dire, ad esempio, del maggiore dei cosiddetti proto-martiri, Ignazio d'Antiochia, maestro del "testimone" Policarpo? Ci viene chiesto di credere che, al tempo in cui Roma si trovava in guerra contro i pàrti, Traiano avesse approntato l'arena giusto per la sua esecuzione, e, anziché farlo fuori ad Antiochia, lo fece scortare per tutto l'impero fino a Roma, concedendogli il tempo di visitare un sacco di amici e di scrivere ben quindici lettere (delle quali parecchie sono state accertate come false...) a Maria Vergine e a vescovi non ancora nati al suo tempo! E che aggiungere sul favoloso martirio di Sisto II, patrono dei cuochi (fu arrostito alla graticola): il quale, nonostante l'atroce supplizio, sarebbe stato comunque capace di dileggiare il boia dicendogli: "Girami dall'altra parte: da questa sono già cotto"!

Bazzecole, al confronto con vicende come quella di santa Cristina, la cui veridicità storica è già dimostrata dal fatto che i genitori (pagani) le avrebbero dato un nome cristiano: anzi, proprio per essersi rifiutata di bruciare incenso agli dèi, la giovane sarebbe stata rinchiusa in una torre dal padre, che la espose a ogni tipo di sevizie.
La storiella di Cristina è una suite sado-masochistica ammantata sotto eroismo sovrumano: fustigata, straziata con uncini, percossa e fratturata, Cristina getta pezzi della propria carne in faccia al padre, che per tutta risposta la cosparge d'olio, la arrostisce a fuoco lento su una ruota e infine la butta a mare con una macina al collo. Gli angeli la salvano dall'annegamento, ma solo per riportarla dal padre (!), che la rimette al "giudice Elio" (?): questi la soffrigge su una sedia arroventata, passandola poi al collega Giuliano, il quale la getta in una fornace ardente, la inghirlanda con serpenti velenosi, le taglia i seni e la lingua, che la stoica Cristina raccatta e gli tira in un occhio, accecandolo. Cosa che non impedì comunque a Giuliano di prendere bene la mira, uccidendola con tre banalissime frecce!

Taciamo pietosamente, poi, sul fatto che la prima vittima delle persecuzioni neroniane (semmai ve ne fu alcuna, fuori dalle fantasticherie di Tertulliano e colleghi) sarebbe stato un tal san Paolino, definito "governatore di Toscana": il che sarebbe come dire che Bismark sia stato un cacique della Nuova Zelanda vissuto in Norvegia al tempo di Marco Polo!
Per non esser tacciati d'irridenza sistematicamente iterata, soprassediamo anche sul fatto che Pietro, presunto capostipite della stirpe papalina, non fu mai martirizzato, o perlomeno non a Roma: certo è che nell'Urbe sarebbero state trovate le sue reliquie, ma tolti ossa di donna (forse i resti della matrona Priscilla, allora leader storica della "chiesa" di Roma), d'animali e oggetti di repertorio medievale, non è chiaro quale fra i tre scheletri sinora scoperti sia quello del principe degli apostoli!<%pagebreak()%>La letteratura agiografica brulica di temi del genere, sospinti da un'ingenua maliziosità abbastanza adeguata all'ignoranza dei primi secoli del cristianesimo: il martirio che rende la purezza all'anima in peccato; lo sposo che abbandona la moglie appena impalmata per vivere in miseria; l'innocenza perseguitata fino alla morte; il perdono delle offese spinto fino all'autolesionismo; il martirio della carità che fa sostituire un innocente a un condannato; la vergine nascosta sotto vesti maschili in un convento di monaci, la cui vera identità è svelata dopo la morte... Sono temi che tendono a formare una mentalità aggressiva, infantile e pavida.

Queste tematiche seguono una metodica d'estrapolazione del fatto storico abbellito in chiave mitica "evemeristica": quasi come un doppiofondo della storia che i credenti non vanno a indagare: perché la truculenza del fatto, unita al vittimismo e agli exploit straordinari, annichila la curiosità. Così non ci si chiede come mai una tradizione riferisca che Pietro sarebbe stato martirizzato a Roma e un'altra a Edessa; Matteo in Etiopia o in Persia; Filippo e Andrea in Grecia o in Scizia; Bartolomeo a Cipro o a Milano; Simone in Egitto o in Mauritania, Tommaso in India o in Scizia.

Ci sono casi di trasposizione da manuale, come quello di "san" Giorgio, sul quale è distensivo spendere qualche parola per sommi capi. La tradizione vuole che il martirio di costui avvenne sotto il persiano Daciano (che però in molte recensioni è sostituito da Diocleziano) (1), il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i cristiani: ma Giorgio, rifiutatosi di sacrificare agli dèi, distribuisce i beni ai poveri e si confessa cristiano dinnanzi alla corte. Pertanto viene fustigato e gettato in carcere, dove ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione; uscito di prigione, Giorgio ha la meglio sul mago Atanasio, che come ricompensa si converte e... viene martirizzato! Segato in due con una ruota acuminata, Giorgio resuscita e converte il magister militum Anatolio con tutte le sue schiere, che vengono ricompensate anche loro a fil di spada! La scena si sposta poi dinnanzi ad un ignoto re di nome Tranquillino, a cui gentile richiesta Giorgio riporta in vita diciassette persone morte dalla bellezza di quattrocentosessant'anni, poi le battezza e le fa sparire; indi entra in un tempio pagano e con un alitata ne abbatte gli idoli! Colpita dai prodigi, l'imperatrice Alessandra si converte e... viene martirizzata anche lei! Dopo tutto ciò, l'infaticabile ammazzasette si lascia tranquillamente spiccare la testa dal collo, promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie: ma non prima che l'Onnipotente abbia incenerito i suoi persecutori...
Fin qui con la leggenda, non dissimile da tante altre (v. il caso di sant'Ansano); fuori da dettagli simbolicamente sospetti — i settantadue re etc. — e da chiare attestazioni di violenza vittimistica in aperto contrasto con l'ufficiosa propaganda di mansuetudine cristiana, si tratta, eziandio, di esagerazioni ad captandum che sovvertono le reali basi storiche. Difatti, la storia esterna al mito intessuto dagli agiografi vuole che Giorgio di Cappadocia, oltre a esser stato uno speculatore di derrate alimentari militari e un eretico ariano, sia morto non già a causa di Diocleziano o Daciano che dir si voglia, bensì per mano delle fazioni ortodosse guidate dal vescovo cattolico Atanasio d'Alessandria (qui trasformato in un "mago"...), poi esiliato nientemeno che dal "truce" Giuliano l'Apostata appunto per questo misfatto. Quanto alla leggenda del drago, essa è una chiara rielaborazione locale dovuta al ritrovamento (citato da Plinio e altri) di uno scheletro di balena sulle coste di Lidda; infine, il 23 aprile era già stata una festa romana dedicata piuttosto a Marte, anziché al martire Giorgio!

Aneddoti del genere convergono nelle procedure di deformazione della storicità a vantaggio del fantastico. Molto spesso, onde cattivare l'accodiscendeza delle classi militari (ancora legate al mitraismo), si ricorreva a temi epici e a metafore militaresche, nelle quali il santo combatteva spargendo sangue in nome di Dio e per l'onore del miles christi. A cominciare dalle figure militari dei vangeli, circa un quarto dei "martiri" e dei santi cristiani sono ex pagani impiegati nell'esercito e soprattutto sono stranieri, come il san Maurizio della misteriosa Legione Tebana; per gran parte della media abbiamo vergini e madri esemplari, temi cari alle matrone.

Per fornire tangibile prova della pacificità ottenuta dalla contemplazione del Mite Agnello, i "santi padri" gioivano additando questi truci esempi, immaginando le atroci ricompense che avrebbero atteso i persecutori nell'aldilà: grazie a questi virtuosi del calamaio, uomini come Nerone, Diocleziano, Adriano, Decio, Domiziano diventarono mostri efferati e sanguinarii, il cui unico scopo nella vita era quello di seviziare i pacifici cristiani per mero piacere personale.
Espedienti teatrali siffatti avevano lo scopo di foraggiare il senso dello stupefacente tramite l'iperbolico e al contempo fiaccare gli avversari, guadagnando parimenti il consenso non solo delle classi umili, ma anche di quelle élite stanche e critiche: gradualmente la resistenza fu fiaccata e ricevette il colpo di grazia una volta che gli avversari, impietositi e sgomenti, ebbero abbassato la guardia, sicchè i cristiani presero piede nella Cosa Pubblica sostituendosi alla vecchia gestione. Questo cambio di consegne fece sì che (come accade in tutti i casi del genere) l'anarchismo pro tempore si trasformò a sua volta in una forma d'intransigenza centralizzata e oltremodo spietata, attuando — stavolta storicamente — nel corso di ben due millenni delle straordinarie crudeltà che gli imperatori romani e i loro sottoposti, per quanto "dissoluti" e spietati, poterono compiere solamente nella fantasia dei loro vili detrattori.
E sicuramente i cristiani erano autorizzati a farlo, poiché erano seguaci del "vero dio"; in fondo, essi lo facevano "per amore", come ci spiega Agostino nella lettera CLXXXV:

"C'è una persecuzione ingiusta, ossia quella inflitta dagli empi contro la chiesa di cristo, e una giusta, che è quella inflitta dalla chiesa agli empi. Tra l'altro, essa perseguita nello spirito dell'amore: gli empi in quello dell'odio" (2.11).

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