Popper asseriva che, per quanto riguarda la questione dell'esistenza di Dio, l'agnosticismo sarebbe la forma "più accettabile" di "gnosi", nella misura in cui gli parve più opportuno porsi in una posizione "media", bollando l'ateismo ("certe sue forme", diceva...) come una fanfaronaggine insopportabile.
In realtà, "don Karlos" aveva torto: non me ne vogliano i suoi (giustamente) tanti estimatori, ma essere l'inventore della falsificazione non implica biunivocamente essere sacrosanto in ogni suo "bit" di pensiero. Io capisco la posizione degli agnostici: è una posizione comoda. Ma è anche una posizione che avvantaggia i credenti: in pratica, non è "epoché", me bensì si tratta di una banale forma di paura dello scontro.

Uno dei problemi principali insiti nella negazione d'accettare una verità definitiva (cioè una verità che non ammette repliche o ripensamenti, in quanto ridotta ai minimi termini) è che essa non fornisce più alcun elemento di dialettica: è, diciamo, "statica", "morta". Al pari di qualsiasi argomentazione basata su presupposti fallaci, l'inesistenza di Dio è ipso facto la primissima tra queste verità negate. L'individuo riesce senz'altro a capire (che sia per percezione o per dimostrazione) che non possa esistere un dio di qualsivoglia tipo; si tratta di un'evidenza talmente assodata e chiara, che il prete potrebbe arginarla solamente tramite il ricorso al timore dell'isolamento sociale e di violenze da parte di "Dio" (cioè della società e dei suoi intolleranti membri...). In effetti, qualora associatosi in gruppi (persino "atei"), l'individuo sostituisce a questo essere immaginario qualcos'altro, anche onde evitare di potersi "sostituire a Dio" (come pretendono i religiosi...) e poter convivere entro un certo livello di guardia con la personalità e il "carattere" altrui.
Così come un principio o una regola si rendono "necessari" al fine di poter far convivere in un gruppo delle persone che condividono determinati interessi, allo stesso modo nei groppi "atei" si sostituisce a Dio ("collante" sublimante di quelli religiosi) la "libertà": concetto oltremodo onnivago quanto privo di significato intrinseco e che, data la tipologia di questi gruppi, si traduce con "mancanza di punti fermi" (o meglio, in teoria dovrebbe essere così: ma in pratica non lo è, dato che anche il dire di "non avere regole" è comunque una regola).
Dunque, in realtà. questi "atei" saranno (ancora ed essenzialmente) simili a dei credenti se e fin quando ignoreranno che il gruppo implica delle regole e delle norme, quindi dei principii (simbolici o effettivi) a cui sottostare.

Ecco spiegato come mai esistano "atei" che, nel timore che il loro obiettivo (e quindi anche il loro "scopo di vita") si esaurisca, si auto-impongono la "regola" d'affermare che vi debba essere "libertà di credere in quel che si vuole", indipendentemente dalla falsità su cui sono basate le religioni; e come ve ne siano altri che, allo stesso identico modo, affermano che non debbano sussistere "verità in tasca" (in quanto definite "dogmatiche" alla stregua di quelle religiose). Infine, altri ancora finiscono per affermare addirittura che non sia necessario dimostrare l'inesistenza di Dio, in quanto si tratterebbe di un "falso problema" fondato su concetti indimostrabili quanto astrusi: per cui, costoro finiscono per ridursi fondamentalmente alla stregua dei "libertins" settecenteschi (cioè delle persone che, non essendo più capaci di articolare i processi mentali che portano alla negazione dell'esistenza di Dio e simili, finiscono per imporsi di credere che sia lecita la qualunque, "pur entro il rispetto della libertà altrui").

In pratica (e ciò è vero soprattutto nelle epoche di disgregazione identitaria come questa), si teme che il negare una "libertà" implichi negarle tutte, persino qualora la prima fosse comunque basata su condizioni accertatamente fallaci. Va da sè che un tale atteggiamento non sia da atei integrali ed etici, indipendentemente dal fatto che un'indimostrabilità dell'inesistenza di Dio sia soltanto un gioco di parole, in quanto verità "accertatamente certa". E va altrettanto da sè che non sia necessario affermare questo genere di controsensi semplicemente onde evitare problemi non solo coi religiosi, ma anche con altri "atei" (quindi, essenzialmente per mancanza di coraggio e "quieto vivere"; ovviamente circoscritto all'interno del proprio gruppo).

Io credo che Popper volesse riferirsi a questo tipo di atei, e non già a un tipo che evidentemente egli non aveva ancora conosciuto, essendosi riservato di limitarsi alla falsa epoché dell'agnosi.

Nel caso specifico, l'agnostico non vuole asserire d'avere "una qualche" certezza (epperò, dice che "non esiste certezza"! Quindi, una certezza ce l'ha già comunque...) che una data cosa esista: ma dall'altro lato, non vuole nemmeno la certezza che essa non esista! Invero, in questo controverso assetto cognitivo (e nell'ignorarlo...) è speculabile tutto il succo di non aver considerato le cose nella loro completezza: il che ( a dirla col grande Francese), è una forma di fanatismo e intransigenza. In effetti, una cosa non può essere esistente e inesistente, così come un'affermazione di senso compiuto che la identifica (sogg.+pred.: ad esempio, "Dio esiste") non può essere vera e falsa al contempo. La frase "Dio esiste" è una frase che, detta in sè, non ha alcun senso "teologico" intellegibile, finchè non si specifica cosa sia "dio". A tal fine, è necessario capire che vi sia un lungo excursus da premettere affinchè si pervenga alla definizione di verità o falsità di detta frase.

Dunque, qual è la pistola fumante dell'agnostico? Quella d'essere "dogmatici"? A prescindere dal fatto che ciò possa essere vero o falso (quindi a-priopristico), qual è il problema nel poterlo essere? In primo luogo, si può essere definiti "dogmatici" quando il portato cui si aderisce è fondato su verità apparenti, che spesso si accompagnano al credere per fede. Se io dico "il Sole è blu", avrò detto una cosa falsa, dato che il Sole è giallo (semplificando), cioè di un colore che, per convenzione, abbiamo chiamato giallo anzichè nero, che ne identifica convenzionalmente un altro (nel caso specifico, opposto/complementare). Dal momento che una tale affermazione implicherà le rimostranze di chi sà che il giallo non è blu, allora ne consegue che, se all'assunto di cui sopra aggiungo "dobbiamo credere che è così perchè ce l'ha detto un dio", imporrò appunto un dogma: a cui si deve credere per forza per fede (che spesso si accompagna all'imposizione violenta). Infatti, la fede è, per definizione, l'opposto della ragione: viceversa, sarebbero sinonimi.

Il "dogma" dell'ateo sarebbe, dunque, insito nel dire (attenzione: non credere, ma bensì dire) che Dio non esista. Epperò, tale affermazione procede dalla disamina delle affermazioni per le quali i credenti hanno imposto che ne esista uno! Dunque, se queste ultime sono esperite come false, allora non è possibile che siano false anche le dimostrazioni della loro falsità, inclusi i procedimenti coi quali si perviene alla loro attuazione! Per cui, ecco che è pianamente dimostrabile come l'ateo non sia dogmatico e che la sua posizione non sia falsa: da cui consegue anche che il dio di cui parlano i credenti non sia esistente e in fondo, non lo è nessun altro tipo possibile di dio che si viene a creare per superare l'impasse imposta da tale negazione. Dunque, ne consegue anche che l'ateo non "crede"! E questo, in un contesto di persone che non devono avere nessuno la "verità in tasca", è molto scomodo: in fondo, il non avere nessuno la verità in tasca (come se ciò comportasse l'essere superiori a qualcun altro...) è uno dei motivi per cui si inventano divinità che stiano al di sopra di tutti. Per cui, chiunque si ritenesse "agnostico" e propugnasse che "nessuno ha la verità in tasca" (posizione automatica, dato che se non ce l'hanno nè atei nè credenti, non potrà dire d'avercela nemmeno l'agnostico...), ne conseguirà che proprio lui sarà equiparabile a un credente!
Ma anche ragionando per assurdo ed ammettendo che sia vero che l'ateo sia dogmatico, è possibile propugnare comunque qualcosa senza però crederla vera? O per meglio dire: in che modo si può continuare a perpetuare una posizione, senza ritenere a tutti i costi (uso questa locuzione per traslare il senso del verbo “credere" in un contesto che non implica fede, ma appunto aderenza a realtà testatica) che essa sia vera? In fondo, si è dogmatici anche quando si dice che sia l'uno che l'altro hanno torto (quindi che nessuno dei due abbia ragione): soltanto che si crede che non sia così, semplicemente perchè si presume di poter ricavare una prova a posteriori del non essere preconcettuali dal vedere come non sia possibile il poter dimostrare l'esistenza di dio nè il non poterla dimostrare! Anzi, essendo per ciò essa una posizione di riflesso o derivata, l'agnosticismo in realtà è dipendente da quelle due posizioni estreme: per cui la sua valenza è derivata, e quindi la sua carenza è quella di non poter esistere senza le altre due.

In pratica, l’agnosticismo, in questi termini, è una costruzione impropria, escogitata da persone che possiedono una visione rimaneggiata di cosa dovrebbe essere in realtà l'agnosticismo stesso, e cioè "non sapere nulla": che è diverso dal "non poter dire nulla di certo" in merito alla veridicità o meno di Dio. Quindi, queste persone non partono dall'inizio, ma dal "mezzo"; partono dalla discussione iniziata e farmatasi a "nè io nè tu possiamo dire nulla di vero". Ciò implica anche che tale impossibilità escluda anche quella di poter dire qualsiasi cosa, tanto in positivo quanto in negativo.

Infatti, il portato di base dell'agnosticismo dice (o dovrebbe dire) così: 1) a) "C'è chi afferma che esista un essere onnipotente, b) la quale affermazione non è dimostrabile: per cui non è dimostrabile che questo essere esista". E questa, purtroppo per il tipo improprio di agnostici, è proprio la verità propugnata degli atei! I quali però la estendono esaminando i punti di convalida dell'esistenza di Dio, dicendo che, per tutta un'altra serie di fattori, tale esistenza non era dimostrabile, ma si può arrivare a dire persino che questo dio stesso non esista affatto!

Dunque, gli agnostici, fermandosi solo a dire che non è dimostrabile la sua esistenza, si fermano molto prima di procedere verso il punto finale a cui pervengono gli atei: e in questo sono dunque dei "mezzi atei". Essi non pervengono a quel punto semplicemente perchè le posizioni successive o non le sanno (il che non è: essendo esse già note), o non vogliono accettarle, perchè in tal modo si perderebbe uno dei due punti di "equilibrio" sui quali basano il loro essere "in mezzo" tra i due "estremi".

Il secondo "punto di equilibrio" è: 2) "L'esistenza di Dio non è dimostrabile". Questo portato è evidentemente il risultato della negazione del sub-punto b) del punto 1), nel quale il soggetto che compie l'azione d'invalidare l'esistenza di Dio (propugnata dai religiosi) erano evidentemente gli atei. Quindi, gli "agnostici" prendono l'affermazione b) del punto 1) (fulcro dell'ateismo) e, per poter dire che nemmeno essa sia vera, la... invertono! Sicchè, per loro nemmeno questo punto 2), opposto al punto 1) (ma ricavato da esso stesso invertendolo!), diventa dimostrabile! Ovvero, per gli "agnostici" non sarebbe dimostrabile nemmeno che sia possibile negare che dio sia esistente!
Ora, la persona dotata di un raziocinio lucido vedrà subito che tali pretese siano assurde e vicendevolmente autoescludenti, quindi il portato su cui gli agnostici basano la loro "accusa" è fallace e non valido, essendo anche tautologico. E' ben visibile come si tratti di una sorta di gioco a somma zero: che non va a vantagio di nessuno, fuorchè di una pretesa di status quo...

L'agnostico, dunque, è in errore se dice che l'ateo sarebbe "dogmatico" (così come lo è, e stavolta sul serio, il credente...) e in errore tanto quanto il credente; ma soprattutto, che la condizione dell'agnostico sia superiore (quindi preferibile) rispetto a quella dei due estremi
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