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Gli uomini governati dalla ragione desiderano le stesse cose per se stessi e per tutti gli altri. .. Spinoza. |
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Mi ritengo una persona che vive senza influenze religiose, come se la società fosse scevra da influssi religiosi. So che non è così, e difatti sarebbe necessario arrivare ad un tipo di società del genere: per farlo, purtroppo occorre controbattere le religioni con l'ateismo. Dico "con", perchè quest'ultimo non è uno "stile di vita", ma uno "strumento" con finalità temporanea.
Personalmente parlando, rifiuto la definizione "tradizionale" di "ateo" in quanto sovraccaricata di significati derogatori: se proprio dovessi farlo, preferirei definirmi "non-credente" (lo scrivo così appositamente), perchè penso d'avere le idee ben chiare sulle responsabilità della situazione attuale, sul cristianesimo e sugli "dèi", al punto di non aver bisogno di ricordare continuamente a me stesso che Dio non esiste, avendo superato quello stadio larvale in cui, per non dimenticare come stanno le cose, devi continuare a ripeterti certi "mantra", diventando oltremodo un "predicatore dell'ateismo" e un "nemico del mondo". In una società in cui le superstizioni non sono state ancora del tutto demistificate e sradicate, il non-credente è l'equivalente della persona comune di una società che non avrebbe mai conosciuto (o che ha conosciuto ed eliminato) le superstizioni: quindi, il non-credente è definibile come lo stadio finale naturale di chi è stato ateo, dopochè le religioni sono state eliminate, a livello personale o globale che sia, tramite l'azione dell'ateo (che in un sistema in cui la religione è ancora attiva costituisce l'"antagonista naturale" del credente).
Inoltre, mi sento ancora "religioso" nel senso di "rispettoso degli altri e delle regole", finché gli altri rispetteranno me; anzi, in tal senso mi reputo molto più "religioso" di chi crede in divinità che lo costringerebbero ad essere religioso e rispettoso (senza peraltro riuscirci, a giudicare da come vanno le cose al mondo). Questo vale come risposta a chiunque pensasse che il non-credere implichi negazione delle regole di convivenza.
Per quanto concerne il mio "compito" informativo, infine, molti sanno già che il sottoscritto non cerchi di convincere chicchessia: avendo raggiunto le mie certezze, mi sento sereno, vivo bene il mio non-credere e non faccio proselitismo forzato (che è tipico degli spacciatori di falsità), bensì racconto e informo su dati che ritengo oggettivi ed importanti. Sta poi a chi legge, giudicare ed attivarsi di conseguenza. Infatti, essere atei implica connotarsi parzialmente e sottoporsi ad uno stress comunicativo inane, qualora disgiunto da finalità informative.
Non parlerò dunque per mera "par condicio", né perché credo d'essere un "ateo migliore di tutti"; avendo attraversato i principali stadi evolutivi dell'ateismo, ed essendo pervenuto ad una pax cognitiva in merito, credo d'aver conseguito parimenti uno status cognitivo tale da poter passare brevemente in rassegna i casi, di modo da inquadrare, tramite la loro illustrazione, dove e perché certi atei "tradizionali" sbagliano.
Nel corso di decenni, ho potuto valutare la mancanza di preparazione, l'arretratezza, la presunzione, l'aggressività, la grettezza, l'amoralità, la superficialità, l'ordinarietà, l'ignoranza, l'invidia, la malafede, la vuotezza e l'indisciplina che caratterizzano generalmente l'"ateismo di massa". Dall'altro lato, quell'ateismo che vorrebbe definirsi "elitario" rispetto al primo, cade nel vizio opposto: maniacalità per il dettaglio irrilevante, predilezione di leziosismi ed astrattismi, distacco dalla realtà, snobismo, inconsistenza, inconcludenza.
Moltissime di queste persone "non funzionano molto bene": in genere sono dei disadattati che vivono in un mondo a parte, hanno una visione abbastanza "eccentrica" dell'amicizia e della stima, sono fondamentalmente anarchici ed egocentrici, criticano tutto e tutti fuorchè sé stessi.
In sostanza, pare che la generale pochezza che caratterizza questi tempi in cui tutto va al contrario, si stia ripercuotendo anche nell'ambito della critica "atea", con grave danno per il dialogo con i religiosi e soprattutto della credibilità dell'ateismo stesso: riterrei dunque che, onde evitare conseguenze inattese, occorrerebbe sistematizzare il pensiero "ateo" e soprattutto marginalizzare quelle forme d'ateismo che sono tali soltanto nominalmente.
Se il credente è generalmente ridicolo tanto quanto le cose in cui crede, non è da meno quell'ateo che, nell'esprimere un giudizio su di lui, pretendesse di buttare il bambino con tutta l'acqua sporca.
In primo luogo, a mio parere continuare a credere malgrado le evidenze contrarie non creerà alcun problema, finché rimarrà un atto confinato nella sfera individuale: ovvero, finché coloro i quali credono in un dio che li accomuna non sentano il bisogno di creare istituzioni religiose (che si traducono invariabilmente in strumenti di conquista ed ingerenza) per coordinarli e rappresentarli, senza pretendere che chi non crede sia un inferiore. Quindi, un conto è la religiosità, un altro la religione.
Ammetto inoltre che il credente abbia il vantaggio di possedere una coerenza di base nell'agire, unita ad una maggiore serenità nel vivere, grazie al focalizzare il pensiero su un Essere Onnipotente che funge da Limite di rapporto, ed alla sicurezza d'essere parte di un sistema comune ed esteso che riconosce tale "codice". Questa focalizzazione è inizializzata una tantum partendo da un imprinting generazionale sul bambino, che, una volta avviato, si è inabissato a livello incoscio, formattando le azioni con automatismi tali da non rendere più necessario far ricordare ossessivamente i princìpi "formativi" (grazie anche al fatto che questi ultimi sono condivisi in massa). Dall'altro lato, però, questa sincrasia implica la non immediata capacità di constatare la falsità di tale sistema stesso, nonché la mancanza di responsabilità delle proprie azioni; quando si tratta dei diritti altrui, il credente pensa meno del dovuto, come vediamo dall'abbondanza di atti illegali compiuti perlopiù da persone dichiaratesi credenti, e che costituiscono la maggioranza della società. I religiosi dicono che chi commette un crimine abbia automaticamente smesso d'essere credente, in quanto avrebbe agito dimenticando precetti "incrollabili" in quanto divini: paradossi a parte, a mio parere si agisce nel male ogni qual volta si dimentica che la perentorietà dei diktat inviti a trasgredirli...
Da tutto ciò, dall'altra parte della "barricata" accade che la mancanza del Limitante faccia sentire l'ateo "libero" di spaziare nella capacità di pensare, rendendolo però un'isola (talora misantropicamente e libertinamente orientata; v. qui sul problema dell'equivoco della libertà); onde ovviare a ciò, e ritrovare una direttiva d'azione accomunante, questo primitivo tipo d'ateo tende a versarsi nella critica e nell'odio a oltranza nei confronti dei "nemici" (ma anche dei "colleghi" dotati di una prospettiva più completa), diventando così la perfetta controparte del fedele fanatico. In realtà adottano certi comportamenti perchè non hanno una formazione completa, perché hanno timore d'essere definiti "fanatici intolleranti", oppure perchè senza i loro avversari credono di non avere più alcuna ragione d'essere.
Non mi rispecchio in questi tipi d'ateismo, che purtroppo incarnano la maggioranza in Italia e nel mondo; per questo motivo, a differenza di certuni di loro, non ho mai disdegnato di confrontarmi con i credenti, provvisto che non si parta da preconcetti (ovvero da una cognizione integrale di quanto il sottoscritto ha da dire).<%pagebreak()%>Ho sempre parlato con decisione, privilegiando il mantenimento di un profilo educato nel rispetto perlomeno formale delle regole dialettiche; la polemica è sì costruttiva (pòlemos patèr, diceva il filosofo, per chi conosce il greco), ma occorre agire fuori da inutili protagonismi, esasperazioni, volgarità, arroganza, parlare a vanvera ed ambiguità.
La mia tesi verte sul fatto che le religioni, in quanto tutte false, siano tutte nocive ed eticamente inaccettabili, per cui non è affatto possibile dire che un conto sia Dio, un altro le religioni, e un altro ancora le istituzioni che affermano d'agire in suo nome: difatti, più la base su cui è costruita la società è costituita da un concetto elevato, più la società stessa soffre gravi problemi, qualora la prima fosse falsa. Dato che alla base della società umana risiedono (per chiari motivi) Dio, la religione, i suoi diktat comportamentali e la sua intrusione nella vita laica, ne deriva che sarebbe opportuno eliminare questi residuati di primitivismo come unica precondizione per fondare una società progredita. A far ciò dovrebbero (e potrebbero) essere soltanto i governanti, per prima cosa istruendo il cittadino, e per seconda cosa facendo capire ai religiosi che quanto propugnano sia falso e nocivo.
Dall'altro canto, l'informazione su cosa siano le religioni implicherebbe in un sol colpo anche la fine della "religiosità", sentimento nato con la credenza in esseri superiori, e che è semplicemente un groviglio di sensazioni indistinte, facenti capo alla precognizione della morte che attende l'uomo, alle paure (quindi sentimenti angoscianti e distruttivi, che occorrerebbe piuttosto distrarre quantopiù possibile), all'amore (indispensabile, ma semplicemente sporcato dalle religioni) ed alla soggezione generazionale (quello che chiamo "il complesso di Crono"): eliminata la religione sia come insieme di credenze che come istituzione a loro capo, tutto il resto viene da sè, senza che sia necessario sostituirle con qualche altro target fittizio per scaricarvi sopra i "problemi di specie".
Difatti, se sai che una cosa è falsa e funge anche da "sparring partner psicologico", non potrai certo domandarti con cos'altro dovrai sostituirla, senza con ciò mostrarti null'altro che come controparte di quei credenti secondo i quali le religioni servirebbero appunto per canalizzare emotività e sentimenti. In effetti, già la consapevolezza del fatto che si sia trattato di "canali di sfogo", implica la capacità di superare la continua richiesta di queste "droghe" e di loro succedanei: se poi tale consapevolezza è diffusa, accettata e condivisa in massa, allora si sostituisce alle icone di scaricamento classiche, senza con ciò ingenerare illusioni e rimorsi (anzi, genererà solidarietà ed operosità reali, non di facciata; in quanto l'uomo saprà di poter contare soltanto su sè stesso e sui propri simili). Le religioni parassitizzano ed asserviscono i sentimenti, amplificando le paure (perchè senza di esse l'uomo non cercherà il solacio "sovrannaturale").
L'attacco alla religione dovrebbe essere motivato quindi in primis da valori idealistici: incapacità di sopportare il falso spacciato per vero, tramite il quale la Chiesa ingerisce nella società, rubandole risorse meglio utilizzabili. Dunque, prima viene la preoccupazione per i problemi procurati dalla religione, e solo in secondo luogo quella per il ladrocinio di risorse economiche. Per tutto ciò, non è affatto necessario "utilizzare la forza" allo scopo d'eliminare le religioni; è necessario in primo luogo informare. Informando ed educando su cose reali, automaticamente il cittadino smetterà di credere nelle illusioni religiose (e proprio per questo motivo le chiese non hanno mai potuto soffrire l'informazione e la cultura laiche, tentando d'imporre creazionismo e confessionalismo).
Non è possibile fare altrimenti: quando credi di poter attaccare qualcosa come la Chiesa solo battendo sul piano del ladrocinio economico, dell'ingerenza politica e del bigottismo sessuale, e non già apportando anche motivi storici e morali, sei destinato automaticamente a fallire. Se non informi la gente in primo luogo pure del fatto che Dio non esiste, e che il suo "Gesù di Nazareth" sia una farsa, essa continuerà a credere in questo binomio, pensando che sia doveroso mantenere coi propri soldi i "vicarii" di "Dio" sulla Terra. Ciò è immediatamente lampante quanto il fatto che domani sorgerà di nuovo il Sole.
La nozione è chiaramente più semplice di quanto si creda; ma la sua messa in atto è ritenuta impossibile da chi non possiede una visione completa, anche perchè il recepimento della nozione stessa è stato reso difficoltoso non solo dall'ostruzione di chi prospera sulla religione, ma anche di certune classi sociali che vedono in essa un'illusoria garanzia per le loro debolezze. Potrei perfettamente capire che possa essere difficile ammettere qualcosa di "radicale", ma dovrebbe essere altrettanto difficile affermare che una cosa falsa debba comunque continuare ad esistere per soddisfare a necessità falsate.
Vero è che un conto sia il teorizzare, e un altro il mettere in atto: ma dilà da eventuali "impossibilità" pratiche, se non si inizia a proporre qualcosa di lineare e corretto, è ovvio che continueremo a chiederci da dove derivino i problemi umani, pur avendone davanti le cause da sempre. Certi obiettivi potrebbero essere conseguiti sicuramente con parecchia difficoltà, ma non sono certo impossibili.
L'ateo deve dunque adoperarsi affinché le religioni vengano smascherate ed eliminate, non con la costrizione, bensì pacificamente e con cognizione di causa.<%pagebreak()%>Non mi sono mai andate a genio le tradizionali classificazioni statiche, in base alle quali sia "credenti" che "atei" hanno definito l'ateismo, perchè ritengo che si arrestino dinnanzi al fatto che, a determinate condizioni, sia molto facile passare da una "categoria" all'altra, dato che l'ateo ha appunto la caratteristica di non focalizzarsi su un super-denominatore accomunante.
In summa, però, potremmo dire senz'altro che l'ateismo non sia nè uno "stile di vita" nè una "filosofia", bensì un insieme di "utensili di contrapposizione" con i quali ottenere uno scopo: conseguito il quale, rimane soltanto la persona nuda, senza orpelli nè addizionamenti. Questo scopo è semplicemente contrastare le religioni: e nel particolar caso italiano, il cristianesimo e (naturalmente>) la Chiesa. Una volta fatta questa precisazione, per poter meglio illustrare la questione occorrerebbe rispondere ad una semplice domanda di corollario: "qual è (o dovrebbe essere) il fulcro cognitivo dell'ateismo?". La risposta è: "consapevolezza assoluta dell'inesistenza di Dio e simili".
C'è chi giunge a tale conclusione "per sensazione", ma per poter pervenire ad una consapevolezza con cognizione di causa, così da poter rispondere alle obiezioni di chi crede, occorre attraversare una serie di passaggi cognitivi finalizzati ad assodare che la certezza dell'inesistenza di qualsivoglia divinità sia stata ricavata non da "presentimenti", bensì dalla disamina degli "scritti sacri", secondo i quali c'è "certezza assoluta" che Dio esiste (e con tale pretesa le organizzazioni religiose chiedono danaro agli stati che le ospitano). Soltanto in tal modo la certezza sarà assoluta, dato che non deriverà da affermazioni aleatorie, bensì appunto dalla disamina di questi testi, i quali affermano d'essere indubbiamente veri e dettati da Dio ai loro esecutori, di cui il "peccatore comune" non può dubitare, perchè sono stati definiti "santi" e "superiori": il cerchio si chiude.
Essendo già impossibili e assurdi questi dèi, a cui cagione l'uomo ha faticato (invano) per dar loro una parvenza di plausibilità, a maggior ragione lo saranno pure quegli altri che, constatata l'assurdità dei primi, potrebbero essere escogitati dai teologi sulla scorta di un procedimento d'esclusione, onde ottenere "qualcosa di meglio": se ne concluderà che non esista nessun tipo di dio, che l'universo sia così com'è da sempre, e che suoi eventuali processi di "fine" e "inizio" sarebbero ciclici (nel caso) e da relativizzarsi ad un meccanismo autonomo, non certo causato dall'esterno nè tantomeno originato "dal Nulla".
Questo codice basilare individua l'"Ateismo Etico", che indica un ateo purista, rigoroso, privo di compromessi, che parla chiaro, che si informa, che non prende per buona la prima cosa che capita, che rispetta l'avversario-persona e attacca ciò egli che dice: tutti gli altri tipi di ateismo sono solo dei corollari improprii che sfumano gradualmente nella credenza fideistica, nell'incertezza paradigmatica e nell'individualismo aprioristico. Questo non è "integralismo", come mi disse un tale: possiamo parlare di "integralismo" in ambito religioso, nel caso di chi propugna sordamente ed impone protervamente qualcosa di falso, laddove nel caso illustrato si tratta del rifiutare qualsiasi compromesso con le falsità, pur a costo dell'enorme disagio implicito in ciò.
La prima battaglia dell'ateismo etico è da condursi contro la menzogna in sé per sé, insita nello spacciare per verità assoluta qualcosa che indirizza la società ad agire nella pretesa che esistano degli dèi legislatori; come conseguenza di ciò, occorrerebbe far capire che divinità del genere, qualora esistenti, dovrebbero provvedere ai bisogni di chi, invece, richiede ad altri uomini continue (e copiose) elargizioni annue per sostentarsi. È una questione di correttezza, altruismo e coscienza sociale, prima ancora che di giustizia ed economia.
Occorre non solo sapere cosa sia (o meglio, non sia) Dio, ma anche informare la gente in merito; in primo luogo, informare chi dirige e governa la gente. Solo in questo modo (non già eliminando le religioni con la violenza) sarà possibile evolversi.
Alla luce di tutto ciò, l'ateo che andasse affermando di "fare a meno di Dio" o di “non porsi il problema" in merito, non sarebbe certo "ateo", nè tantomeno un "agnostico" (o "ateo debole"), ma starebbe semplicemente attestando la propria carenza di basi cognitive per decidere se Dio esiste o meno, e porsi in una posizione chiara e pragmatica.
Allo stesso modo, l'ateo che credesse di poter scardinare le religioni puntando soltanto sulla denuncia di estorsioni economiche ed istigazioni a "guerre sante", vedrebbe il suo proposito scontrarsi contro chi, continuando a credere che Dio sia realmente esistente, riterrà giusto tributare i propri soldi alle istituzioni che dicono di rappresentarlo sulla Terra.
Parimenti, un ateo tale da pensare che tutto sia lecito a chi non crede in Dio, sarà essenzialmente un potenziale criminale; equivocare l'essere decisi con l'essere maleducati, violenti e sfasati, è il primo errore commesso dall'ateo convinto che l'assenza di Dio implichi pure noncuranza per i propri simili. Mi meraviglio di come mai la Chiesa non abbia mai pensato d'ingaggiare "atei" come questi: sarebbero sicuramente più efficienti di qualsiasi missionario, nel far venire voglia di tornare credenti...
Altrettanto assurdo è il "ragionamento" di quell'ateo a cui parere occorrerebbe essere "tolleranti" verso chi non lo è mai stato, semplicemente per farsi vedere "superiore": tutt'al più si potrà tollerare la persona, non le cose in cui crede, qualora esse fossero trovate fallaci. Non si può nemmeno presumersi atei dicendo che le religioni non possano e non debbano essere eliminate, onde evitare di cadere in una "dittatura atea", ovvero perché sarebbero connesse ai "sentimenti", proposizioni che ho sentito esprimere molto spesso soprattutto da donne e bambini, e che in realtà provengono da distorsioni ed equivoci cognitivi: le classi deboli della società, prime vittime e prime complici delle religioni, indulgono molto spesso in simili debolezze perchè hanno sempre visto in Dio una tutela della loro persona contro lo strapotere del padre/marito.
Esaminando meglio quest'ultima proposizione, noteremo che essa non possa essere il frutto di una mente ancora del tutto scevra da contaminazioni religiose o para-religiose.
In primis, se le religioni non possono essere sconfitte, non avrebbe alcun senso impegnarsi ad essere atei, fuorché solamente allo scopo d'imporre la propria tutelabilità e la propria velleità idiotistica (dal greco "idiòtes", "uno che sta per se stesso").
Una "dittatura atea", poi, si instaura con la violenza, non già con l'informazione; ed a carico delle istituzioni, non del singolo individuo. Se un governo informa bene i suoi cittadini, questi ultimi capiranno che in conto è l'istituzione, un altro la religione in cui egli aveva creduto; capendo ciò, ammetterà anche che un conto siano i sentimenti, un altro le religioni, alle quali sono preesistenti: e che anzi li hanno cannibalizzati e colonizzati.
Dunque, soltanto chi non avrà analizzato le cose nella loro interezza, potrà ritenere assurdo l'auspicare l'eliminazione di qualsiasi (lo sottolineo) religione. Naturalmente, è anche ovvio che tale proposito non possa (a meno di eventi straordinari) essere applicato su due piedi: ma è altrettanto placito che ciò non costituisca un impedimento insormontabile per la bontà e veridicità delle premesse. Anzi, dirò addirittura che un proposito radicale generi null'altro che il desiderio d'essere pacati e rispettosi degli altri, anzichè dei "cani sciolti" che non guardano in faccia a nessuno, divenendo incapaci di dialogo e soprattutto di saper scindere la persona dal biasimo verso ciò in cui essa crede. E ciò accadrebbe proprio perchè, in fondo, come ho affermato, è tramite l'informazione che si attuano i cambiamenti positivi, quando sei certo della bontà di ciò che propugni.
Qualora il cittadino, dopo esser stato informato sul fatto che i suoi dèi siano falsità escogitate per schiavizzarlo ed estorcergli il frutto del suo lavoro, continuasse comunque a credere in qualcosa per uno dei motivi di cui sopra, allora potremo dichiararci pienamente sconfitti e pensare che l'umanità ami prendersi in giro da sé, in quanto non penserebbe d'avere altri modi per moderare i potenziali errori dovuti alle passioni incontrollate.<%pagebreak()%>Da quanto illustrato sopra, potremmo anche concludere che la tipologia d'ateo a più basso profilo (che purtroppo è anche la più diffusa) sia quella di chi, sulla scorta di evidenze prettamente sensorie, ha semplicemente la sensazione che Dio non esiste, canalizzando così tutti i propri interessi verso la negazione dei freni imposti dai tenet religiosi: edonismo sfrenato, come ribellione alle costrizioni delle classi religiose, che hanno sempre visto nei piaceri i loro peggiori nemici, per ovvi motivi. Ciò è innegabile sia statisticamente che fattualmente: nel corso delle mie frequentazioni, ho potuto constatare questa verità, su cui molti religiosi hanno sempre battuto per stigmatizzare chi non crede in “princìpi di purezza”.
Purtroppo, è anche vero che l'italiano pensi prevalentemente ad anteporre i piaceri ai doveri, condizionato com’è da favorevolissimi fattori geografico-risorsistici, sulla cui scorta le religioni locali sono state ideate proprio allo scopo di moderare gli eccessi dovuti agli istinti a carattere edonistico-libidici, causali per tutti gli altri. Dall’altro canto, questi tempi – soprattutto in un paese economicamente penalizzato da sempre, quale è l'Italia – sono caratterizzati, inoltre, da un'endemica anomia e decadimento dei valori, motivati soprattutto da una sfrenata ricerca dei piaceri e del bel vivere col minimo sforzo: la mutazione di costumi (con annesse crisi economico-culturali) ha portato ad un assetto mentale in base al quale tutto ciò che era normale quando il termine di riferimento erano i “punti fermi” tradizionali, oggi è anormale, e viceversa. È anche vero che tale "mutazione" sia stata inizializzata dall’informazione globalizzata e dalla demistificazione delle tradizioni religiose, oramai smascherate come dei falsi a fine di controllo: cosa occorrerebbe fare, dunque?
Sia chiaro che non ci sia nulla di male nel conseguire il piacere, che l'individuo cerca massimamente (i credenti non sono a meno, confessione permettendo), e grazie al quale si sviluppa il senso creativo ed il normale assetto psico-fisico, ovviamente senza che ciò esca dal proprio privato: altro discorso è la stigmatizzazione del costume sessuale qualora "di scandalo" per la "società", ovvero tendente a confondere le classiche demarcazioni sessiste alle quali si sono avvinghiate le religioni.
L’eccessivo liberalismo ha portato allo scoperto certi costumi prima vissuti con vergogna, nell'aggravante che molte di queste persone (il cui diritto alla propria sessualità non può essere certo negato comunque) sono incentivate a "trasgredire" per il fatto che, nel tentativo di fruire d'una comoda captatio benevolentiae, determinate compagini politiche richiamano a sé tutte quelle frange di costume automaticamente emarginalizzabili in epoche nelle quali le religioni dominavano ancora.
Tra le prime "funzioni di specie" attaccate da costoro, c’è soprattutto il rifiuto della sessualità naturale, che sfocia nella "naturalizzazione" dell'omosessualità (vista come atteggiamento di "ribellione"), con annessa critica alla famiglia "naturale", annessi e connessi. Ma, come anzidetto, occorrerebbe essere oculati nei giudizi, senza scadere in qualunquismi contrappositivi: a mio parere, ad esempio l'essere omosessuali è un costume inutile dal punto di vista riproduttivo, ma perfettamente concepibile da quello affettivo e compensativo; ad ogni modo, un ateo coscienzioso non riterrebbe certo gli omosessuali dei “malati”, né li manderebbe al confino o al rogo ipso facto.
Appropriarsi indebitamente dell'etichetta di "ateo" al mero scopo di delegittimare certi divieti, è un arbitrio che deriva dal pensare che siccome Dio è inteso come sinonimo di "ordine" e "rigore", occorrerebbe automaticamente tendere all'anomia ed alla ribellione persino nei confronti delle cose più naturali e spontanee, perlopiù quelle basate appunto sulla sessualità.
Avvertendo forse un senso di diversità nell'essere molto più attratti del solito verso le pratiche sessuali (e normalmente quelle meno ortodosse), queste persone credono di poter giustificare i loro eccessi ricollegandoli ad un generico dissenso nei confronti di tutto ciò che, di converso, è sempre stato contrario ai piaceri quali attestazione di necessità d'adeguamento alla natura umana: quindi, tramite l'ateismo cercano di giustificare i loro eccessi in contrapposizione ad eccessi opposti. Ma questo non è ateismo: è distorsione dell'ateismo. I fini principali dell'ateismo sono etici e pratici: le finalità "ricreative" potranno pur esserci, ma non sono certo primarie.
Questo genere molto primitivo di atei equivocano dunque il libertinismo con la libertà, e la necessità di svincolarsi da regole tradizionali come diritto all'esistenza di opinioni che però non debbono mai approdare a un punto fermo: appare chiaro che questo genere di "pensiero" non possa certo andare oltre l'individualismo e all'anarchismo ad oltranza, più per partito preso che per convinzione razionale attuata nel rispetto delle reciproche libertà (a cui proposito ho scritto nell'articolo successivo). |
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