Con la fede, l’uomo sottomette interamente a dio la propria intelligenza e la propria volontà.
.. Catechismo 1.13.143.
La metafisica teologica è il tentativo di spiegare le cose più incredibili facendo appello all'inintellegibile: è il rifugio di coloro i quali, assai simili agli astrologi quanto ad attendibilità, possiedono un forte egotismo o desiderio d'apparire eruditi, senza aver fondamentalmente nulla da dire. Fuor da ogni dubbio, la chiave del suo successo non è la profondità, bensì l'oscurità.

Si tratta di un tipo d'ermetismo assai diverso da quello che racchiude il nexus d'altri tipi di superstizione. Assurdo per assurdo, quantomeno potremmo tentare di "razionalizzare" ad es. la teoria dei tipi zodiacali, nell'ipotizzare che ad influenzare i fenotipi di ciascun nascituro in quel periodo stagionale sia l'angolazione del percorso orbitale terrestre intorno al Sole nel corso dell'anno, piuttosto che l'"influsso delle stelle"; dall'altro canto, non sapremmo cosa congetturare a proposito di un dio invisibile ma efficiente, severo e permissivo, fazioso e liberale, se non votandoci a spiegazioni che potrebbero sottintendere dei seri problemi di natura neurotica. Per questo interviene la fede.

Secondo il Catechismo, la fede "è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire" (1.1.3.153). Quindi, fede è innanzitutto credere (senza alcuna evidenza...) in argomenti privi di parallelo: ossia, un atteggiamento psichico estraneo alla razionalità (viceversa, si chiamerebbe "ragione"), ovvero emozionale al pari di qualsiasi passione incontrollata che implica persuasione in merito a qualcosa la cui esistenza non è evidente.
Da ciò è ovvio che la fede non spieghi nulla, bensì implica l'accettazione acritica di un assioma imposto dagli "illuminati" che detengono il compito di custodire i luoghi comuni elargiti sempre dal medesimo dio invisibile di cui sopra. Si crede "per fede" che Dio esiste, onde spiegare l'esistenza del Tutto — da lui creato —, tornando in tal modo al punto di partenza; quindi, la fede è una diretta espressione del lato pulsionale della mente umana, e come tale è più preferita rispetto alla ragione.

Cos'è, invece, la "razionalità"? Fuori da enunciati parmenideo-hegeliani, potremmo definirla come capacità d'esprimere un giudizio corretto su un dato concetto-oggetto, esaminando elementi prevalentemente empirici o "astrazioni" proprii al primo. Pertanto, non è possibile esprimere tale parere in merito a concetti-oggetti che disconosciamo. Per poter far ciò, interverrebbe la fede, posta dalla Chiesa in una posizione di preminenza dato che (dice il Vaticano) il razionalismo moderno sarebbe addirittura "fallimentare"; ma da cosa sortiscono queste curiose e sintomatiche definizioni?

Premettiamo che neppure la fede sfugga a processi empirici, nel senso che estrae i suoi articoli dall'esperienza (lo stesso Tommaso d'Aquino ebbe ad asserire che la fede è superiore all'opinione ma inferiore alla conoscenza); solo che, a differenza della ragione, nel suo caso la mente attua il processo opposto, ossia si arresta poco prima d'accettare la conclusione nel caso in cui essa non coincida con le aspettative "oniriche" che sussistono alla base dei princìpi d'estraneazione dal reale.
Difatti, nel caso in cui l'oggetto della fede è definito non-sensibile, come Dio, dovremo chiederci in base a quale principio si dovrebbe credere in esso, ovvero semmai la sensazione di qualcosa di sovrumano non sia stata equivocata come un quid reale; nel guazzabuglio di contraddizioni in cui si dibatteva, Tommaso voleva credere di poter comprendere sia le cose materiali che quelle spirituali tramite quella che — secondo lui — era "ragione", spostata un gradino più in su rispetto a quella esclusivamente "materialistica".
Dato che non è possibile parlare di qualità invisibili, l'Aquinate affermò che possiamo definire soltanto ciò che Dio non è: essendo messe al servizio di Dio, queste acrobatiche offese alla ragione non potevano sortire altro fuorchè ammirazione e approvazione, facendo sì che in futuro si potesse parlare di "ragionevolezza del credere". Così commentava il barone d'Holbach:

"Onde evitare ogni imbarazzo, [i teologi] ci dicono che non è affatto necessario sapere cos'è Dio, che bisogna adorarlo senza conoscerlo, che non ci è minimamente concesso d'indagare con occhio temerario i suoi attributi. Ma prima di sapere se bisogna adorare un dio, non dovremmo esser sicuri che esista? Ora, come accertare che esiste, prima d'avere esaminato se è possibile che le diverse qualità che gli vengono attribuite coesistano in lui?".

In breve, il filosofo francese si chiedeva in che modo i teologi riuscissero a definire le qualità di Dio, se fra queste v'è in primis quella d'essere inconoscibile (e anche quella d'essere comunque conoscibile...)! In effetti, non si può avere fede in qualcosa che non è stato empiricamente testato indipendentemente dal numero d'individui che hanno una determinata esperienza; nè si può averne negli scritti di persone ritenute "speciali" semplicemente perchè hanno affermato d'aver parlato con Dio.

Grazie alle trovate di personaggi filosoficamente immorali come Tommaso, tutt'oggi si pretende che chi è razionalista non possa capire la fede, laddove chi ha fede potrebbe anche essere razionale, così da definire la razionalità addirittura come una qualità "secondaria": d'altronde, chi è cresciuto in ambienti nei quali si è sempre rifiutata la ragione (la maggioranza degli uomini), non potrà aver conosciuto né giudicato il razionalismo se non definendolo in base all'opposto di ciò in cui ha sempre creduto.
La dispersione nell'ebbrezza dell'ignoto, del vago, del fumigante, dello stordimento dell'immaginazione del superumano, viene equivocata come estensione della percezione di "realtà" superiori; l'irrazionalità esaltata come un status mentale eletto, l'esaltazione del cavillo e della cervelloticità, sono chiari attestati dell'ingegno applicato alla dimostrazione di preconcetti basati su evidenze inesistenti.
Le prime avvisaglie di questo orientamento si avvertono a partire da Paolo di Tarso, principe degli invasati della follia divina, come la chiamava lui: il Tarsiota era solito dire che Dio premia i folli, gli stolti, gli ignoranti, come vediamo ad esempio già solamente nella prima Lettera ai corinzi, ove leggiamo che dio salva gli ebbri e si compiace della loro stoltezza (1.21-27), che se vuoi essere un buon cristiano e vivere felice, non devi ardire conoscere alcunché (2.2-5), e nel caso in cui un individuo ignora, lasciamo che continui così (14.38),

"poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio stesso, è piaciuto a lui salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" (21-25).
<%pagebreak()%>Agostino, Geronimo, Lattanzio, Crisostomo e quant'altri ancora, aderirono tutti alla linea dossologica paolina. Dalle origini del nuovo corso fino a tutto il 1600, l'unica preoccupazione dimostrativa della filosofia sarà prevalentemente rivolta a Dio, tirando in ballo la supremazia dell'estasi ascetica e l'abbassamento umano a Dio, con effetti immaginabili per quel che riguarda l'impostazione della speculazione laica futura.
"Io non cerco di capire che per credere, ma credo al fine di capire poiché questo credo pure: ossia, che non posso capire a meno che io non abbia creduto" scriveva il buon Anselmo (santo) preconizzando Bonaventura, "filosofo dell'uomo concreto", che misticamente rapito nel suo Aravoth così gorgheggiava, inaugurando l'antitesi al deus totaliter aliter barthiano:

"Solo abbandonando tutto e tutti, innalzandoti sopra te stesso e le cose con un trasporto assoluto della mente, raggiungerai il raggio sovrannaturale delle tenebre divine. Se or brami saper in che modo ciò avvenga, interroga la grazia, non la scienza; il desiderio, non l'intelletto [...] dio, non l'uomo; l'oscurità, non la chiarezza; non la luce che brilla, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in dio con un'unzione che rapisce ed un affetto che divora!" (Itinerarium mentis in Deum 7).

Passata questa fase e quella formativa della scolastica, durante l'Umanesimo tale mania riceverà un impulso acceleratorio con le fabulazioni platoniste di Cusano e le amenità di Ficino, che già al tempo di Telesio riscossero dei forti ridimensionamenti; con lo stupidario di Francis Bacon e il "Dio infinito" del gesuitico Cartesio (che pagarono con l'Indice le loro ipotesi...), assisteremo a una recrudescenza delle pretese anselmiane, trattate, per buona pace di Pascal, con piglio falsamente logicista sulla scia dell'usuale apriorismo ontologico.

Dovremo superare l'epoca di Gregorio XVI, che nella Dum acerbissima condannò le tesi con le quali il gesuita Hermes proclamava la dipendenza della fede dalla ragione, per registrare qualche segno di "conciliazione", fermo restando che la fede sia ritenuta ognora superiore alla ragione: l'enciclica Fides et Ratio, una delle tante partorite dalla feconda attività pastorale di Giovanni Paolo II (che in essa ha rivalutato l'Aquinate come "massimo pensatore di tutti i tempi"), insegna che la "verità della rivelazione cristiana"

"che si incontra in Gesù di Nazareth, permette a chiunque di accogliere il «mistero» della propria vita. Come verità suprema, essa, mentre rispetta l'autonomia della creatura e la sua libertà, la impegna ad aprirsi alla trascendenza. Qui il rapporto fra libertà e verità diventa sommo e si comprende in pienezza la parola del Signore: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» [Gv. 8.32]. La Rivelazione cristiana è la vera stella d'orientamento per l'uomo che avanza tra i condizionamenti della mentalità immanentistica e le strettoie di una logica tecnocratica (!); è l'ultima possibilità che viene offerta da dio per ritrovare in pienezza il progetto originario d'amore, iniziato con la creazione.
All'uomo desideroso di conoscere il vero, se ancora è capace di guardare oltre sé stesso e d'innalzare lo sguardo al di là dei proprii progetti, è data la possibilità di recuperare il genuino rapporto con la sua vita, seguendo la strada della verità. La sapienza elencata tra i doni dello Spirito Santo è distinta da quella che è posta tra le virtù intellettuali, infatti, quest'ultima si acquista con lo studio: quella invece «viene dall'alto», come s'esprime san Giacomo, così pure è distinta dalla fede. Poiché la fede accetta la verità divina così com'è, invece è proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità divina".

Parlare di "libertà" ed alludere subito dopo ad un "impegno", è un gioco di parole assai oneroso: asserire che il cristianesimo sia una "religione razionale", vorrebbe semplicemente dire che, per quanto basata su usuali elucubrazioni pseudo-filosofiche ed acrobazie teologiche, questa superstizione è stata resa molto più completa nella misura in cui i funambolismi apologetici sono studiati di modo da far apparire razionale un argomento che, per sua natura intrinseca, essendo fondato su princìpi assolutamente indimostrabili, è chiaramente estraneo al raziocinio.

Ragioniamo un attimo: cosa c'è di tanto incomprensibile ad esempio nel fatto che un dio invisibile s'incarni in un corpo umano, venendo alla luce al solstizio d'inverno, da una donna che rimase vergine fino alla morte pur dopo aver sfornato una miriade di figli (sono gli apocrifi a dircelo), e che decide di morire per salvare le creature dal peccato?
Paolo ci dice, inoltre, che Dio nascose al popolo eletto la venuta del proprio figlio, affidando i fedeli alla guida di profeti rivelatisi falsi o eretici, che istigarono gli ebrei ad odiare le nazioni finitime pur sapendo che Gesù avrebbe predicato il contrario, e costringendoli ad osservare leggi e rituali che egli avrebbe abolito, accusandoli addirittura d'essere "figli del demonio". Ignazio d'Antiochia aggiungerà la sua, affermando che la verginità di Maria e la sua nutrita prole, la nascita virginale di Gesù e la sua morte, furono dei "segreti noti fin dall'antichità", celati da Dio al demonio...
C'è qualcosa di irrazionale in tutto ciò? Chiaramente no! Il loro presupposto di verifica è insito nella fede in "cose divine": nella sfera del sovrannaturale l'impossibile è automaticamente possibile! Credo quia absurdum!
La caratteristica precipua di tutte le costruzioni basate sulla fede, è proprio il fatto che in superficie sembrano ragionamenti che non fanno una grinza, evidenze appianate e comprensibilissime: ma in realtà, a farle apparire "lineari" è proprio la loro stessa paradossalità! Così rispondeva d'Holbach, concludendo magistralmente la propria disamina:

"La fede, secondo i teologi, è «un consenso non evidente». Quindi, la religione esige che si creda fermamente a cose non evidenti, a proposizioni spesso improbabilissime o contrarissime alla ragione. Ma rifiutare la ragione come giudice della fede, non significa forse confessare che la ragione non può venire a patti con la fede? Dal momento che i ministri della religione hanno deciso di mettere al bando la ragione, bisogna pure che abbiano sentito l'impossibilità di conciliare la ragione con la fede, la quale [lo si vede bene] altro non è che cieca sottomissione a quei preti la cui autorità, in molte teste, gode di un peso maggiore dell'evidenza stessa ed è preferibile alla testimonianza sensoria.
«Immolate la vostra ragione; rinunziate all'esperienza; diffidate della testimonianza dei vostri sensi; sottomettetevi senza riflessione a quello che noi vi annunziamo in nome del cielo!». Tale è il linguaggio comune a tutti i preti del mondo; essi sono in disaccordo su tutto, tranne che sulla necessità di non ragionare mai quando si tratta di princìpi che essi ci presentano come i più importanti per la nostra felicità!
Io non immolerò la mia ragione, perché essa sola può farmi distinguere il bene dal male, il vero dal falso. Se, come sostenete [di pari], la mia ragione proviene da Dio, non crederò mai che un dio che voi lodate come tanto buono mi abbia dato la ragione solo per tendermi un tranello, allo scopo di condurmi in perdizione. O preti! Screditando la ragione, non vedete che calunniate il vostro dio, dal momento che ci assicurate che la ragione è un suo dono? [...] Ripetete senza posa che «le verità della religione sono al di sopra della ragione»; ma se è così, non ammettete che tali verità non sono fatte per esseri ragionanti?".
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