Abbiamo visto che il protagonista evangelico fosse ignoto sia dentro che fuori dalla Palestina: la sua diffusione fuori dalla presunta madrepatria rimane tutta nelle dichiarazioni paoline, che ci parlano degli apostoli, i quali a loro volta sono citati solo nei vangeli, chiudendo il cerchio alla fonte.
Dall'altro lato, è innegabile che, dopo la predicazione di Paolo, qualcuno iniziò ad adorare un tal Gesù, ed a far circolare dei documenti biografici in merito. Ne consegue che, per poter motivare l'esistenza di seguaci di questo fantomatico predicatore, dovette esistere storicamente qualcuno più o meno analogo al personaggio trasposto nei vangeli (ed i motivi di questa trasposizione saranno chiari in seguito), ma non certo chiamato "Gesù": persino i primi critici del cristianesimo non dubitavano certo della storicità di questo "qualcuno", bensì sulla sua reale identità.

Le manipolazioni dei vangeli sono cosa nota sin da quando iniziarono a fare la loro comparsa, ossia al tempo del vescovo Ireneo da Lione, che fu il primo a collegarli a degli evangelisti coi nomi che conosciamo oggi. Com'è poco noto ai fedeli, gli scritti attuali sono abbastanza differenti dalle versioni più antiche che possediamo, nei quali mancano parecchi passi, mentre altri sono redatti in maniera diversa e con parole e costrutti differenti: si ritiene, però, che la Chiesa abbia il potere di "acconciare" persino l'immutabile parola dell'Essere Infallibile per eccellenza, dato che ha ricevuto da Lui stesso l'ispirazione spirituale per compiere tali operazioni. La pratica fu avallata e concessa persino da Eusebio, Crisostomo, Agostino, Geronimo e tanti altri "padri": come se ci fosse qualche necessità di convalida, qualche primavera fa lo stesso Wojtyla ammise (e senza ricevere alcun commento!) che "certi" passi dei vangeli rivelano "una mano estremamente tarda"!

Chi poteva aver scritto delle opere del genere, ignote a tutta la patristica per duecento anni prima di Ireneo? In realtà, non ha alcun senso trovare un autore per nome e persona, dato che tale fine potrà essere assolto solamente con la scoperta di documenti che riportano tale identità: Ireneo stesso ci fa capire però che fu necessario che fossero quattro per rispondere ad altrettante eresie del tempo.
Quel che è lecito è che, come già ribadivano Celso o certi "eretici" del calibro di Fausto da Milevi, già dapprincipio tutti riconoscevano i vangeli come degli scritti mai compilati dagli autori ai quali li accoppierà Ireneo secoli dopo: addirittura — asseriva Celso — erano stati modificati via via nel corso degli anni "per controbattere le obiezioni". Questa consapevolezza crebbe fino alla certezza all'epoca di Giuliano (nipote superstite di Costantino) e del suo circolo di letterati, assai ferrati in campo mitografico e religioso, come ad esempio Sallustio.

Occorre dire che nemmeno il cristianesimo sia comparso ex abrupto così com'è, ma abbia alle spalle dei movimenti "precursori". Nonostante le straordinarie affinità con i cristiani, si era sempre negata qualsiasi connessione tra gli esseni e il movimento descritto nei vangeli di cui è portavoce "Gesù". In effetti, già a suo tempo Eusebio nel secondo libro della Historia ci diceva che gli esseni dell'Egitto, noti come terapeuti, possedessero quelli che "sono le nostre scritture, i vangeli": dato che egli stava citando una comunità di qualche secolo antecedente a Gesù, se ne conclude che esistessero delle bozze di scritti simili ai vangeli prima ancora che nascesse il cosiddetto cristo.
Stupisce che simili notizie passino inosservate, al punto che molti teologi hanno asserito che Eusebio (altrimenti ricordato come "padre della storiografia cristiana") in questo caso si sia sicuramente sbagliato!
In effetti, non si è certo sbagliato: gli esseni ebbero una liturgia e delle strutture ideologico-comunitarie quasi identiche a quelle cristiane. Descritti da Flavio come una delle quattro "vie" dottrinali principali dell'epoca unitamente ai farisei, ai sadducei ed agli zeloti, di questi ultimi costituivano, anzi, la branca ideologica. Dai loro monasteri tuonavano contro tutto e tutti, principalmente contro i corrotti sacerdoti del Templio, con una violenza verbale e dei costumi che li rendono assai simili al Battista, l'iniziatore di Gesù; allo stesso modo, in tutta la Palestina il battesimo era il loro esclusivo rito centrale di iniziazione. Inoltre, attendevano due messia: uno spirituale e l'altro politico, come era stato sempre avallato dagli ebrei. In un certo periodo della loro storia ne postularono tre o addirittura quattro tipi, proprio come fu in epoca tarda nella linea dossologica del messianesimo; laddove (per chiari motivi) i vangeli "ufficiali" non ne fanno alcuna menzione, questo doppio mandato era già apertamente avanzato negli scritti apocrifi, dove questi due messia erano il Battista e Gesù, come vedremo altrove.<%pagebreak()%>La connessione tra i ribelli di Giuda il Galileo e il gruppo di Gesù è oramai qualcosa di acquisito già da qualche decennio, per non dire di più: le stesse definizioni che ce ne danno i vangeli lo dimostrano in maniera inconfutabile sin dalla scoperta dei codici qumranici.

Poiché sono citati nei vangeli, immaginiamo che i "ladroni" fossero tutt'al più dei simpatici e maldestri ladri di polli: ma le definizioni da cui provengono questi eufemismi dell'immaginario collettivo hanno una natura abbastanza diversa.
Sappiamo che Giuda il Galileo avesse dei figli, zeloti come lui: dall'altro lato tutti gli apostoli dei vangeli, eccetto il giudeo Iscariota, venivano detti galilei, quivi inteso come abitanti di quella regione, di cui quattro erano esplicitamente definiti fratelli di Gesù. Sappiamo inoltre che due di questi figli, Giacomo e Simone, furono giustiziati per mano di Tiberio Alessandro, nipote del famoso Filone d'Alessandria: giustiziato quattro anni prima, Giacomo il Maggiore nei vangeli era definito fratello di Giovanni e figlio di Alfeo e Salomé, mentre Giacomo il Minore, ovvero il Giusto, giustiziato vent'anni dopo dai sadducei sotto Albino, era detto "fratello di Gesù" e "figlio di Zebedeo" al pari di Simone detto Pietro, ossia Simone lo zelota (Lc. 6.15), alias "Simon Pietro il Cananita", dal nome della setta (aram. qanna, con il quale si designavano appunto gli zeloti) nella quale era poi defluito Pietro "Cefa", che il vescovo Abdias da Babilonia definiva figlio di Alfeo e Maria.
Gli apologisti hanno tentanto di spiegare l'aggettivo "Cananita" nel senso di "abitante della città di Canaa", che però non si scrieva in questo modo; d'altronde, l'espressione aramaica bar-jona riportata nei vangeli per definire Pietro non equivale al corretto bar-Yohna, "figlio di Giona", bensì a quello che i romani definivano latro (gre. lhsteV), ovverosia "zelota", col significato specifico di "imboscato" (1). Così appariva pure in Giuseppe Flavio, che tra le altre cose nella Guerra Giudaica ci racconta di un idumeo, tale Simone bar-Yora, proclamatosi messia un anno prima dell'entrata di Tito, espellendo dalla capitale il rivale galileo Giovanni di Giscala. Ancora Flavio parla di un tal Eleazar lo zelota, che aveva tre fratelli chiamati Simone, Giuda e Giacomo, figli di un tal Giairo.
Sia negli apocrifi che nei vangeli canonici, Giuda (ovvero Barsabba o Barabba che dir si voglia, per i quali vedremo avanti) è sostituito col nome di Tommaso, e nel Vangelo di Tommaso compare nientemeno che come Didimo Giuda Tommaso (ossia, "Gemello Prediletto Gemello"), sovente chiamato con l'aggettivo cananita. Giuda verrebbe quindi a coincidere con Tommaso, il quale era anche Taddeo: pure questi nomi, peraltro, non hanno mai costituito appositivi di persona, bensì degli aggettivi. Nelle Antichità, introducendo il discorso con la nascita miracolosa di re Izate, Flavio ci parla di un altro sedicente messia chiamato Teuda (dizione originale dell'attuale "Taddeo"), che si vantava di poter camminare sull'acqua; questi aveva raccolto parecchi accoliti a Cirene, e fu giustiziato un anno prima di Simone e Giacomo figli del Galileo, al contempo che fu decapitato un tal Giuda Taddeo, che negli Atti richiama un omonimo definito figlio di Giuda il Galileo e fratello di Giacomo!

Tutti questi dettagli si intesserano in un mosaico abbastanza conturbante, che potrebbe far ben capire come mai Giuda insidiasse il trono di Erode il Grande.
È noto che Salomé fosse figlia di Filippo, figlio di Cleopatra, moglie di Erode I; in ebraico, il nome Cleopatra è reso, al maschile, con Cleofa, nome del marito di una Maria che nei vangeli è detta "madre di Giacomo e Giuseppe", alla quale talora fu attribuita la maternità dei discepoli prediletti di Gesù per farli passare come cugini o tutt'al più fratellastri, anziché come suoi fratelli carnali. Ad aggravare la cosa, talora pure Giuseppe veniva chiamato Cleofa (o Cleopa), anche detto padre di Giacomo il Minore e di Giuda; Alfeo, Zebedeo e Cleopa sono quindi degli alias del nome di Giuseppe (2), che peraltro apparteneva alla tribù di Giuda. Nondimeno, è curioso che i vangeli non facciano più cenno al carpentiere quasi come se fosse misteriosamente svanito senza traccia in un periodo di tempo che andrebbe dal 7 al 15 d. c., proprio quando il Galileo sparisce dalla scena storica.
Cosa oltremodo notabile, un'altra Cleopatra era stata moglie di Erode il Grande e madre di Filippo, fratello di Antipa e tetrarca di Traconitide, di cui fu moglie ancora un'altra Salomé; questo nome era anche proprio alla famosa figlia di Erodiade e Filippo, che dall'altro lato era zio di quest'ultima oltreché familiare di Menahem, come ci viene detto addirittura negli Atti; ancora un'altra Salomé fu sorella di Erode il Grande (3).
Altrettanto strano dovrebbe sembrare che uno dei personaggi presenti alla crocefissione sia stata Giovanna, moglie di Chuza, intendente di palazzo di Erode; oltremodo strano sarebbe che Salomé si trovasse insieme a Maria Maddalena e Maria di Giacomo a comperare "aromi per imbalsamare Gesù" (Luca 15), che fosse nientemeno annoverata fra gli apostoli nel Vangelo di Tommaso e che si fosse addirittura accertata tommasianamente della verginità di Maria al momento del parto, subendo teatralmente le conseguenze del suo scetticismo.
La cosa più curiosa è che, nonostante nessuno di questi testimoni abbia parlato di relazioni parentali tra gli "evangelisti" e la famiglia di Gesù, Marco è anche detto Giovanni e "figlio di una tal Maria di Gerusalemme" o "di Salomé"; Luca, altrimenti definito "medico siriano" o d'origine cirenaica (non è chiaro), era detto "figlio di una tal Salomé", mentre Matteo era chiamato pure Levi e definito "figlio di Alfeo". Posto che la madre di Gesù negli Atti è identificata pure come Salomé, il problema diventa abbastanza indicativo.

Simili rapporti ed inquietanti omonimie stanno a sottintendere che la famiglia degli Erodiani avesse giocato all'interno della vicenda di Gesù non già una parte di semplice comparsa, bensì da leone. È improbabile che, date le parentele celate sotto varie corrispondenze incrociate e iterazioni onomastiche adulterate, siano sussistiti dei rapporti occasionali e che tutti i personaggi evangelici cadano sul set come delle comparse ruotanti attorno a un protagonista senza nome, identità o discendenza alcuna, fuorché — assai facilmente — divina.
Come avremo modo d'approfondire ulteriormente, tutto ciò farebbe prefigurare che le procedure di creazione dei personaggi evangelici siano l'espressione diretta di un tentativo di ricodifica secondo una sofisticata cifratura mitico-storica della vicenda di Gesù impostata su fondamenta pagane, cogliendo l'occasione per mascherare fatti e personaggi storici scomodi che nulla hanno a che fare con le pretese teologiche. In tutti i sistemi mitologici più o meno similari ai vangeli, si riscontrano attribuzioni multiple di personificazioni, innestate su personaggi aventi medesima valenza; fuori dai miti ufficiali, pure nella mitologia pagana esistevano versioni "apocrife" per cui lo stesso Zeus o Eracle avevano dei "doppioni", e naturalmente i pagani non si facevano alcun problema ad accettarle.

Da tutto ciò non si concluderà di certo che alcuni degli Erodiani fossero mascherati nei ribelli evangelici: probabilmente le omonimie giocarono sulla confusione, ma è anche chiaro che determinati collegamenti siano indubbi. I legami tra le famiglie, a partire dai rapporti di parentela con Giuda il Galileo, ci invitano a cercare la vera identità di quella di Gesù in un ramo attinente alla famiglia di Erode, piuttosto che inquadrarlo come elemento avulso da reciprocazioni.

(1) Il Talmud ci specifica la cosa. In effetti, alla lettera, barjona non significa altro che "partigiano", mentre "figlio di Giona" è correttamente scritto bar-Yohna (con o senza trattino che fosse): inoltre, dato che l'evangelista scrive in greco, si sarebbe dovuto utilizzare il termine uioV seguìto dal patronimico, anziché uno strano misto con l'aramaico bar. Stesso dicasi anche in altri casi: Giuda iscariota non significa soltanto "del borgo di Qeriot", paesucolo della Giudea a sud di Hebron, ma in primo luogo "sicario". Sono giochi di parole criptativi, molto frequenti nei vangeli, che sfruttano due o più termini assonanti.
(2) Eusebio ci dice che Giuseppe avesse un fratello di nome Clopas; altri, per evitare scomodi riferimenti alla verginità di Maria, asseriscono che i "fratelli" fossero cugini, o figli di un "precedente matrimonio" di Giuseppe. Dato che Salomé è un alias di Maria, vuol dire che questa abbia generato dei figli con "Clopas", ossia il "fratello" di "Giuseppe": a meno che Salomé non sia il nome di qualche "sorella" di "Maria". Vedremo più innanzi circa questi nomi e la tendenza a sovraccaricare nomi comuni a concetti mitologici preesistenti.
(3) Si aggiunga anche che, a seguito delle divisioni territoriali stabilite da Augusto, sia prima che dopo la morte di Archelao, tetrarca di Samaria e Giudea, la Gaulonite antecedentemente al tradimento di Erodiade fosse stata affidata a Filippo, la Galilea e la Perea erano in mano ad Antipa, ed "una loro parente" di nome Salomé deteneva parte della costa sudoccidentale della Palestina.
Tutti i diritti riservati. Qualsiasi riproduzione senza previo accordo con l'Autore è proibita.